Nel 1964, mentre Castaneda proseguiva l’apprendistato con don Juan, il filosofo e orientalista francese Henry Corbin elaborava l’idea di mundus imaginalis. La sua opera si concentrava sulla conoscenza e la spiritualità islamica, sviluppata nel contesto delle tre grandi religioni monoteistiche. Il mundus imaginalis riguarderebbe «un ordine di realtà che corrisponde a un certo tipo di percezione», e che i teosofi islamici chiamavano «ottavo clima». Per spiegare a cosa si riferiva, Corbin offriva indicazioni «sulla topografia esplorata nello stato di visione, lo stato intermedio tra la veglia e il sonno». Il filosofo, attraverso le sue conoscenze accademiche, individuava con estrema precisione la frattura interna all’uomo occidentale, e il suo tentativo non ci appare così distante da quello di Castaneda. Non faceva appello agli insegnamenti di uno sciamano sudamericano, ma ai testi islamici, eppure ciò che diceva coincide meravigliosamente:

Dobbiamo incominciare a distruggere, con tutte le nostre forze, anche a costo di combattere ogni giorno, quello che si chiama il “riflesso agnostico” dell’uomo occidentale, perché ha permesso il divorzio tra pensiero ed essere. Molte recenti teorie traggono origine da questo riflesso, grazie al quale speriamo di sfuggire all’altra realtà – prima che certune esperienze ed evidenze ci portino in essa – e di sfuggirla nel caso in cui segretamente siamo stati soggiogati dalla sua attrazione, per mezzo delle più ingenue spiegazioni, tranne una: quella che permetterebbe di attribuire un significato vero alla sua esistenza. Perché ci restituisca questo significato dobbiamo, in ogni caso, avere a disposizione una cosmologia che superi le più stupefacenti informazioni a disposizione delle scienze moderne sull’Universo fisico, abbandonandole a un livello inferiore.

Corbin dava voce alla possibilità e all’intento di recuperare una conoscenza perduta, e di aprire di nuovo lo sguardo – la visione, avrebbe detto Castaneda – su una regione della realtà che l’uomo occidentale aveva nascosto dalla propria vista. E nel farlo si poneva al di fuori di quel movimento che cercava di offrire un’alternativa ma che mescolava tutto, senza criterio. Corbin affermava con decisione che il dualismo cartesiano – cioè «il dilemma di pensiero ed estensione» – non si poteva superare «all’interno di uno schema cosmologico e gnoseologico limitato al mondo materiale e della comprensione astratta». Era necessario riconoscere l’esistenza di un «mondo intermedio», che gli autori islamici chiamavano ‘alam al-mithal, “il mondo dell’immagine”, mundus imaginalis:

un mondo ontologicamente reale, come il mondo dei sensi e dell’intelletto, un mondo che richiede una specifica facoltà percettiva, facoltà che è una funzione cognitiva, un valore noetico, pienamente reale come le facoltà della percezione sensoria o dell’intuizione intellettiva. Tale facoltà è il potere immaginativo, quello che dobbiamo evitare di confondere con l’immaginazione che i moderni identificano con la “fantasia” e che, secondo questo parere, produce semplice “immaginario”.

Si trattava di uno stato intermedio, forse in grado di collegare res cogitans e res extensa. Non era un artificio retorico o filosofico, ma una realtà documentata dalla tradizione.

Il termine arabo con cui si indica, tecnicamente, ‘alam a mithal, si può tradurre probabilmente anche con mundus archetypus, evitando ogni ambiguità. Infatti questa è la stessa parola che viene usata in arabo per indicare le Idee platoniche (che Sohravardi interpreterà nei termini dell’angelologia zoroastriana). […] Si deve riconoscere che le forme e le conformazioni del mundus imaginalis non sussistono allo stesso modo delle realtà empiriche del mondo fisico; altrimenti chiunque potrebbe percepirle. Si deve notare che non possono sussistere nel mondo puramente intelligibile, poiché possiedono estensione e dimensione, una materialità “immateriale”, certamente, in relazione a quella del mondo sensoriale ma, di fatto, una propria “corporeità” e spazialità. […] L’esistenza di questo mondo intermedio, mundus imaginalis, appare dunque metafisicamente necessaria. […] Si tratta di un mondo il cui livello ontologico è al di sopra di quello del mondo sensibile e al di sotto di quello intelligibile; è più immateriale del primo e meno immateriale dell’ultimo.

Corbin non voleva, al contrario della psicologia transpersonale, codificare questo mondo con gli strumenti della scienza. Non voleva misurarlo, creare una topografia, una mappa. Egli affermava che

si tratta certamente di un mondo che rimane al di là della verifica empirica delle nostre scienze. Eppure, chiunque può trovarne l’accesso e l’indicazione. È un mondo soprasensibile, in quanto non percepibile tranne che dalla percezione immaginativa, poiché gli eventi che vi accadono possono essere sperimentati solo dalla coscienza immaginativa o immaginante. Dobbiamo essere sicuri di aver compreso, ancora una volta, che non si tratta di ciò che il linguaggio del nostro tempo chiama un’immaginazione, ma di una visione che è imaginatio vera. A questa imaginatio vera dobbiamo attribuire pieno valore noetico o cognitivo. Se non siamo più capaci di parlare dell’immaginario, eccetto che come “fantasia”, se non possiamo utilizzarlo o tollerarlo che così, abbiamo probabilmente dimenticato le regole e le norme e l’ordine assiale che sono responsabili della funzione cognitiva o immaginativa.

La potenza delle parole di Corbin è quasi senza paragoni, eppure ha rappresentaro un canto pressoché inascoltato. Il termine immaginale è stato da allora utilizzato nell’ambito della nuova spiritualità – a volte non cogliendo la differenza con “immaginario”, ma solo l’eleganza del termine – ma è stato messo da parte l’apparato sapienziale sui cui Corbin intendeva riportare l’attenzione degli occidentali. Si trattava del tentativo di spostare lo sguardo dalla spiritualità d’importazione a una tradizione più vicina all’uomo occidentale, ma purtroppo dimenticata. Il modo in cui le idee di Corbin sono state e continuano a essere usate ha a che vedere con la difficoltà dell’uomo occidentale di distinguere, come vedremo, tra fantasia e immaginazione.

 

Andrea Colamedici, Maura Gancitano

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